Omelia XVII Anniversario - 23 Agosto 2011 - Suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino Ancella Riparatrice

Omelia XVII Anniversario – 23 Agosto 2011

Monsignor Giuseppe Morosini
Arcivescovo di Reggio Calabria

Omelia a cura di Mons. Giuseppe Morosini

Carissimi fratelli, innanzi tutto rivolgo un fraterno ed affettuoso saluto al nostro Arcivescovo che ha consentito che io fossi qui presente in mezzo a voi, a presiedere questa celebrazione. 

Rivolgo poi il saluto alla Madre Generale ed a tutte le sorelle, figlie di questa Congregazione delle Ancelle Riparatrici, a tutte le autorità, a frà Tonino ed a tutti i confratelli sacerdoti, a tutti voi carissimi fedeli, soprattutto a voi che siete legati in modo particolare alla spiritualità di questa grande Figlia della Chiesa, Sr. Maria Alfonsa. 


Non parto direttamente dal commento delle letture che abbiamo ascoltato. Non ho bisogno di aiutarvi perché, sicuramente voi avete già compreso da tempo la spiritualità e la santità di questa donna. Io non la conoscevo e ringrazio frà Tonino per avermi fatto dono delle pubblicazioni prodotte su questa figura, spulciandole, sono arrivato solo all’ingresso del mistero di fede e di santità di questa donna. Ho pensato allora di condividere con voi ciò che io ho potuto cogliere della santità di questa donna e della sua spiritualità, cercando però come vescovo, con tutta la responsabilità che sento, di aiutarvi a camminare sulle vie del Signore, perché l’omelia non è solo una celebrazione della santità di una persona che ci ha preceduto ma è un’esortazione a seguire la strada del Vangelo, perché il battesimo ci ha posto tutti sulla strada del Vangelo e quindi sulla strada della santità.

Ho pensato, allora, di scegliere alcune espressioni che ho trovato nelle sue lettere, le lettere di Sr. Alfonsa: espressioni attorno alle quali vorrei costruire la mia esortazione di vescovo, per aiutarvi a capire come anche noi credenti, oggi, possiamo entrare, avendo come modello questa figura di donna riparatrice, proprio nel MISTERO DELLA RIPARAZIONE, scoprendolo come impegno di vita spirituale che ci compete, in quanto battezzati. 

La prima espressione che vi propongo è quella che scrive suor Maria Alfonsa: 

<<…con chiarezza scopro nel mio Spirito l’esigenza di questo AMORE REDENTIVO. Le parole vanno pesate, sulle parole bisogna riflettere …Egli Gesù vuole unirci al suo supremo sacrificio della croce che, continua sull’altare in ogni Messa, e la Sua presenza si perpetua in tutti i tabernacoli>>

Espressioni alle quali siamo abituati ma, proprio l’abitudine è, consentitemi di dire “malefica”; perché l’abitudine tarpa le ali dello Spirito, perché l’abitudine ci impedisce di andare e di penetrare il mistero delle cose, il mistero della vita, il mistero della santità.

Dicevo, parole alle quali siamo abituati, ma che invece esprimono la grandezza della fede cristiana e dell’impegno cristiano, dell’amore redentivo, ogni amore dev’essere redentivo!

Il supremo sacrificio della croce! Noi parliamo spesso della croce. Essa mi fa pensare ai nostri riti del Venerdì Santo, che alcune volte sembrano esprimere la profondità della fede ma, altre volte, invece, sembrano solo manifestazioni di esteriorità. Pensate al Mistero della Croce! Pensate alle faide che si sono consumate nel nostro paese, a quella croce dimenticata, la croce portata in giro per le strade dove si spargeva il sangue fraterno con la presunzione di essere fedeli al messaggio che sarebbe dovuto venire fuori da quella croce. 

Sr. Alfonsa, invece, usa espressioni che esprimono una spiritualità vissuta, espressioni da lei comprese e tradotte nella sua vita.

Anche noi dobbiamo provare a capire che cosa ci chiede il Signore, perché, in quanto battezzati, siamo consapevoli che l’amore redentivo ci appartiene e che la Riparazione appartiene alla vocazione cristiana.

Gesù inizia la sua predicazione dicendo:

<<Convertitevi, fate penitenza>>

Chi ha studiato il greco, sa che il verbo “metanoete” significa, convertirsi, cambiare modo di pensare, cambiare modo di agire. Lui sapeva di offrire a noi una proposta di vita che, in alcuni momenti e per alcuni aspetti noi non avremmo mai accettato. Infatti dice:

<<Avete inteso che fu detto, io invece vi dico>>

E poi quando ci dice:

<<Chi vuol venire dietro di me, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua>> 

Non è che ci voleva condannare alla tristezza ma, sapeva che essergli fedele, accettare quella proposta di vita, avrebbe portato l’uomo al sacrificio.

Sappiamo che accettare la logica della croce, significa il perdono! E chi è che non lo sa? Perdonare è difficile! Ci sentiamo più propensi alla vendetta ed all’odio; ecco il Mistero della Croce. Ecco la penitenza, ecco la riparazione, ecco il combattimento spirituale. Il Cristiano che accetta la fede sa di essere collocato in una situazione di lotta continua; Gesù nel deserto è l’espressione, è l’immagine del cristiano che deve lottare. A Gesù nel deserto viene offerta una strada, che non era quella segnata ed indicata dal Padre: <<Dì che queste pietre diventino pane!>>. A Cristo che viene chiesto di seguire una logica che era di autoglorificazione, non era la volontà del Padre e Cristo ha dovuto farla tacere dentro di sé. Ecco la lotta, il combattimento.

Quel combattimento che lo accompagna fino alla morte, fino all’agonia; quando sulla croce per l’ultima volta, satana, attraverso la voce della gente che lo prendeva in giro gli diceva: <<Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce, e noi ti crederemo!>>. L’ultimo estremo combattimento, l’agonia, nell’etimologia della parola, cioè, l’ultima lotta che Cristo ha dovuto intraprendere contro il male; Lui, pertanto, è il primo penitente perché deve riportare l’umanità al Padre, riscattando, che cosa? La disobbedienza delle origini. Qual è la radice del peccato? Quello che il serpente, satana diceva ad Eva: <<Ma non è vero! Ma chi te l’ha detto? Voi sarete come Dio! Voi deciderete cos’è il bene e cos’è il male. Ma chi ha detto che ci dev’essere uno, che debba dirvi cosa bisogna fare o cosa bisogna non fare, l’uomo ha in sé la ragione per dire: “io faccio così”!>> Questa è la radice del peccato miei cari! Che la Bibbia nella prima pagina vi descrive con due simboli: il frutto proibito ed il serpente. La radice è questa: l’uomo che rifiuta che ci sia un Dio al di sopra che possa dire: <<c’è una verità, c’è una logica, c’è un bene dinnanzi al quale, deve sottostare.>>

E’ la tragedia che viviamo oggi, è la tragedia che ha sempre vissuto l’umanità, sempre, non solo oggi ma che oggi viviamo in una maniera indescrivibile. 


Torno da Madrid, dove un milione e mezzo di ragazzi, qualche giorno fa, sulla spianata dei quattro vientos, sono stati capaci di seguire la messa in assoluto silenzio. Madrid, la città dove avevano detto a circa duecento persone che non avevamo il diritto di professare la nostra fede in Spagna perché, la Spagna è uno Stato laico. E noi non avevamo voce, non avevamo diritto e quei ragazzi non avevano diritto di girare per le strade di Madrid ad esprimere la loro fede.

Gesù, il primo penitente ha riportato l’umanità a Dio, missione che ha comportato la Sua sofferenza, il senso stesso del mistero della sua incarnazione. Cristo che diventava uomo! Non si può prescindere dall’incarnazione e dal senso della Sua missione. La missione di riportare l’umanità al Padre, quindi il SACRIFICIO della CROCE, è il motivo stesso dell’INCARNAZIONE.

Ecco perché Cristo fatto uomo deve morire. La morte non sopraggiunge nella vita di Cristo come qualcosa di imprevisto; ecco perché parla continuamente della Sua morte, come della Sua ora. Ed è per questo, che Lui, secondo la lettera agli Ebrei, diventa il Sacerdote Misericordioso. 

Dalle cose che ha patito, Lui ha imparato che cosa significa essere uomini ed ecco perché è diventato il Sacerdote che intercede. C’è in questo tutto il mistero della compassione, della condivisione, della nostra partecipazione al mistero di Cristo. Mistero redentivo di Cristo. 

Seconda affermazione, secondo brano di suor Maria Alfonsa che cito e che, durante il percorso del mistero della redenzione, approfondiremo: 

<<(…) Com’è bello essere ANCELLA RIPARATRICE, continuare il voto nella redenzione del corpo mistico di Cristo, partecipare alla sofferenza di Cristo che, immolandosi, riparò l’umanità>>

Ecco, questa donna che ha capito qual’era il mistero di Cristo, che lega Cristo all’umanità, che è il mistero che lega l’umanità a Cristo non può che passare attraverso la missione che Cristo stesso ha svolto. Noi siamo chiamati, in forza del Battesimo, a seguire Cristo. Cosa vuol dire seguire Cristo? 

Entrare nell’ottica di quello che Lui ha fatto e quindi, se Lui è venuto per salvare l’umanità, tutti noi che vogliamo seguire Cristo, in forza del Battesimo, entriamo nell’ottica della salvezza dell’umanità; perché l’umanità ci appartiene, perché, vivendo all’interno dell’umanità, siamo i responsabili di questa umanità. Pertanto noi siamo chiamati ad essere e ad agire come Lui, ad offrirci, come dice San Paolo, come sacrificio spirituale a Dio vivente e, a condividere con gli altri il mistero della sofferenza, soffrire con chi soffre. Ma dobbiamo capire qual è il senso di questa penitenza, di questo sacrificio che Gesù ci chiede per entrare nel mistero del Suo Regno. 

Io penso, cari fratelli che tutti voi, qualche volta, vi siete posti la domanda: <<Ma Dio chi è? Un mostro assetato di sangue?>>.

Pertanto saremmo tentati di chiederci se Dio è felice solo se noi soffriamo, solo se moriamo, quindi, se ci flagelliamo, se digiuniamo, se ci torturiamo, se Dio è felice perché ripariamo. E’ una domanda che circola facilmente tra di voi, soprattutto quando ci mettiamo davanti al mistero della sofferenza. Ormai non capiamo più il mistero della sofferenza, a causa di una cultura consumistica, per cui, vogliamo il bene e lo vogliamo subito e non sappiamo accettare un bene che ci viene promesso. 

Cristo ha accettato, nelle sue umili condizioni la Croce, in vista della Resurrezione. Lui dice: 

<<Beati i poveri, perché di essi è il Regno dei Cieli!>>

Guai miei cari fratelli, se non separiamo le due realtà, non capiremo niente del mistero della nostra sofferenza e del mistero della sofferenza umana! Dio non è un mostro assetato di sangue. Gesù è venuto nel mondo per darvi la vita. Qual è la vita? La vita. La vita. QUESTA. Questa che viviamo! E’ venuto per darci la vita.

Noi possiamo essere felici, convinti che in questa vita è la seconda possibilità, la seconda chiamata che Lui ci ha dato. Prima della fede, ci ha chiamato alla vita e ci ha chiamato ad essere felici. Poi ci ha chiamati alla fede, perché la fede è parola, è via che ci conduce alla Sua felicità. La penitenza va vista nell’ottica dell’amore, non c’è amore più grande di colui che dona la vita per la persona amata. Un grande scrittore del secolo scorso, Erich Fromm, qualcuno tra voi avrà letto i suoi libri “Avere o Essere” e “L’arte di amare”. Bene! In uno di questi volumi, Fromm usa queste espressioni: 

<<Solo il penitente è capace di amare>>

perchè? Perchè l’amore porta con sé, necessariamente, il dono del sacrificio. Perché voi sapete che, quando accettate la vita, quella vita è legata alla sofferenza. E siete capaci di amare perché avete accettato di essere dono. E allora ecco perché non è necessario soffrire per dire addio a quello che amiamo. Dio non chiede a noi la sofferenza per esprimerGli l’amore. L’amore è dono. Quando voi fate un regalo, voi fidanzati, voi sposati, sapete che cos’è il dono? Il dono è una privazione vostra, perché se voi andate a comprare un mazzo di fiori o un gioiello da regalare, voi vi private di qualcosa. Vi private di qualcosa che vi appartiene e che potreste consumare per qualcosa di vostro gusto. Ma non lo fate, ci rinunciate, perché volete far felice l’altro. Per dire all’altra persona che amate, che vale più di mille cose che vi appartengono. 

<<Io sono capace di negare le cose che mi appartengono perché ti amo, perché tu conti molto più di me>>

Ecco l’uomo davanti a Dio. Quando voi accendete la candela, quando voi fate un’offerta, quando voi sapete accettare la sofferenza, quando noi sappiamo accettare la sofferenza. Perché lo facciamo? Perché in quel momento diciamo a Dio:

<<Tu vali più di tutte le cose che mi appartengono, vali più della mia vita>>

E solo se, noi riusciamo ad entrare in quest’ottica il volto di Dio si presenta dinnanzi a noi in una grandezza straordinaria. Allora si fa veramente esperienza di Dio. Oppure se noi consideriamo il sacrificio come offerta, noi entriamo nella logica di capire che il male che esiste nel mondo, è grave, ed è talmente grave che, io mi immedesimo nel male di questa umanità. E sono capace di soffrire io, perché dico che il bene che abbiamo perduto è troppo grande perché io non debba piangere per questo bene che ho perduto. 

Ed ecco le anime riparatrici, quelle che invocano, che si mettono dinnanzi a Dio, come si è messo Gesù, e dicono che il male del mondo è troppo grande perché io possa stare qui, tranquillo e sereno. 

Terzo pensiero di suor Maria Alfonsa:

<<Come devo offrire? Le accetta, il Signore Gesù, le mie povere offerte… vorrei tanto amarlo, consolarlo, riparare le offese con una vita immolata ed inchiodata…>>

Capiamo il senso di questa vita immolata, perché, suor Maria Alfonsa è entrata nella logica di quella visione del Cristo.

<<…agnello immolato che ha accettato di portare il peso della croce sulle proprie spalle…>>

E sempre, nella storia dell’umanità, c’è qualcuno che alza le mani, c’è qualcuno che si rende disponibile. Pensate al bellissimo dialogo di Abramo con Dio:

<<…se ce ne sono 40 o 30 giusti, distruggerai la città? Se ci sono 30 giusti e se sono 20, se sono 10 e se sono 5?… io non distruggo se ci sono persone che credono ancora, nel bene…>>

O Mosè che, alzando le mani per la preghiera, durante la battaglia, si fa mettere sotto le pietre, per tenere le mani alzate. 

Esempi moderni: pensate a Salvo D’Acquisto; questo carabiniere che davanti alla vendetta dei nazisti che, volevano uccidere tanta gente dei paesi, dice: “sono stato io”. Non era stato lui. 

Pensate a San Massimiliano Kolbe, davanti a quel povero padre di famiglia che urlava e chiedeva perdono per i figli, diceva: “vado io al posto suo, ha i figli, salvatelo! Io sono un religioso, non ho figli”

Come si spiega? E’ la logica dell’amore. E’ la logica di chi sa dare. 

Quante espressioni alla fine!

<<…essere vittima, non vuol dire, precisamente, domandare la sofferenza…>> scrive suor Maria Alfonsa;

<<…ma vuol dire offrirsi liberamente a tutte quelle che a Dio piacerà mandarci, riceverle con una tranquillità serena e, piena d’amore e, gustarle come un bisogno soddisfatto…”

La santità di suor Alfonsa non è la santità di quei Santi che siamo abituati a considerare. Lei ha fatto cento miracoli, ha avuto il dono della profezia? No. Semplicemente, una suora che stava qui, viveva la sua vita quotidiana inchiodata ad una sedia, senza imprecare, senza lamentarsi ma, cercando quello che la vita comportava, giorno per giorno, accettando la volontà di Dio. E come si manifestava la volontà di Dio?

Semplicemente con la vita. Come per tutti noi la mattina, significava cominciare la giornata e lei la cominciava inchiodata su di una sedia e quello che veniva subito dopo, quando lei aveva bisogno di qualcosa e non c’era nessuno pronto a dargliela, aveva bisogno di andare al bagno, bere un bicchiere d’acqua, quella era la sofferenza che l’ha santificata. 

Lei scriveva che aspirava al mattino, però dice:

<<…offrirò, lento, il mattino giornaliero, ora per ora…>>

Allora, miei cari fratelli, la nostra prima sofferenza, prima riparazione, qual è? L’accettazione della volontà di Dio nella nostra vita. Ripeto la domanda: qual è la volontà di Dio nella nostra vita? La nostra vita, semplicemente. Come faccio a sapere quello che Dio vuole dalla mia vita? Guarda la vita e lì troverai quello che Dio ti chiede! E sapete che, spesso, tutto è legato all’imprevisto e quello è la volontà di Dio. Sarà difficile, sarà tragica, sarà difficoltosa, sarà spinosa, sarà lieta in alcuni giorni, quella è la volontà di Dio. E noi dobbiamo offrire e santificare la nostra vita a Dio attraverso l’accettazione della volontà di Dio. Ma poi c’è un’altra forma di penitenza, cari fratelli, se avessi tempo, sarei più tagliente e più lungo. Ed è l’accettazione delle sofferenze che dipende dal nostro dovere quotidiano. In famiglia, dove bene o male, mugugnando, forse il dovere lo facciamo, ma attenzione! L’aumento a dismisura delle divisioni all’interno della famiglia hanno tante volte la radice qui, nell’incapacità che abbiamo di accettare la sofferenza che la vita quotidiana ci presenta, non siamo più capaci di ascoltarci, non siamo più capaci di perdonarci e tante volte rivendichiamo una parità di diritti in un’ottica ed in una logica di conflitto che non è la logica della giustizia e della verità. Tu mi hai fatto un torto, io te ne faccio un altro. Non è Cristianesimo. Tu mi hai tradito, io ho il diritto di tradirti, tu mi hai fatto un dispetto, io non ti faccio trovare la cena pronta. Miei cari fratelli, questa incapacità di sacrificio ci costa oggi, tanti divorzi, i matrimoni che erano stati benedetti davanti all’altare. Hanno dimenticato che, in quella benedizione, c’era la logica del perdono e della riconciliazione ma direi, ancora di più, nel nostro mondo, nel lavoro e qui sarei più tagliente. La legalità.


Noi, gente del Sud che, non siamo riusciti a capire che la legalità appartiene alla nostra moralità e andiamo a confessarci se abbiamo bestemmiato ma non andiamo mai a confessarci se durante il giorno nel nostro ufficio perdiamo 2 o 3 ore del nostro tempo tra una tazza di caffé, la lettura del giornale, il chiacchiericcio con le persone. E non ci confessiamo quando non siamo rispettosi delle leggi, non ci confessiamo quando non sappiamo educare i nostri figli li proteggiamo troppo, invece di insegnare loro il rispetto. 

L’anno scorso, a novembre, all’incontro dei giovani della diocesi, mentre trattavamo il tema della legalità dissi:<<Andate nelle vostre scuole! Filmatemi la situazione delle vostre scuole!>> Un disastro! Porte sfondate a calci, lavandini neri, tubi rotti, muri imbrattati. Chi ha sentito il dovere di andare a confessarsi, chi ha sentito il dovere di prendere il figlio a schiaffi sapendo che ha preso la porta a calci. Miei cari, noi siamo gente del sud e non vogliamo riscoprire il senso della legalità che ci costa sacrificio. Se noi non la riscopriamo come un valore morale, non faremo mai passi avanti. Se la nostra mentalità è quella imbrogliare lo Stato, se fatta una legge per rilanciare il Sud, troviamo una strada per imbrogliare… non c’è bisogno che faccia una memoria storica.

L’altro giorno, passando, vedevo quelle distese di ulivi e pensavo all’integrazione dell’olio. Leggevo anni fa che con il ricavato dell’olio, ad esempio, in Calabria, avremmo potuto badare a tutta l’Italia. Tutto falso! Produco 10, faccio comparire 80. Sono furbo, ho guadagnato, ho imbrogliato lo Stato. Se non cambiamo questa logica perversa, se non cambiamo mentalità, se non cominciamo a pensare che la legalità è sacrificio, costa, ma è per il bene comune, noi non faremo passi avanti. Ancora, il modo in cui impostiamo le nostre relazioni umane, le nostre relazioni sociali: dobbiamo costruire la nostra santità nel quotidiano, aperti anche a quello che Dio eventualmente ci può chiedere. 

E concludo ancora con le parole di suor Maria Alfonsa che ha trovato la forza per questa sua santità nell’Eucaristia. L’ultimo pensiero che vi leggo è questo:

<<…la prima riparazione si compie con l’adorazione al Santissimo Sacramento perché dopo che il più grande sacerdote ministeriale ha celebrato uno dei più grandi Misteri, offrendo al Padre la vittima santa, le sacerdotesse continueranno ad offrire la vittima santa al Padre, in riparazione dei peccati del mondo…>>

Abbiamo mai cercato di collegare la Messa che celebriamo con quest’impegno di santità che ci fa guadagnare noi stessi al mondo e ci fa dire: “io da quest’altare attingo forza per la riparazione dell’umanità”? Miei cari fratelli, l’augurio che vi faccio è che, da questa Celebrazione, possiate attingere questa forza necessaria, per essere fermento di vita nuova, perché il Signore vi ha chiamati a vivere. 

Messina, 23 Agosto 2011

 

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