Omelia XVIII Anniversario - 23 Agosto 2012 - Suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino Ancella Riparatrice

Omelia XVIII Anniversario – 23 Agosto 2012

Monsignor Calogero Peri
Vescovo di Caltagirone

Omelia a cura di Mons. Calogero Peri

Fratelli e sorelle, la storia di questa umile Serva, voi la conoscete! Nel 1994, intorno alle 12:40 muore questa suora che non ha ancora compiuto 60 anni. Nata nel 1937, non ha vissuto una vita felice, è stata sempre sulla sedia a rotelle, voleva andare fra i missionari. E’ andata, pensava di dover fare solo il biglietto di andata ma dopo 8 anni dovette fare anche quello del ritorno, a causa dell’artrite reumatoide. Il suo medico americano le seppe dare solo un consiglio: <<Prega il tuo Dio cosicché ti faccia morire presto e non ti faccia soffrire>>. A questo punto vi faccio una domanda e la faccio anche a me: <<Qual è il segreto di questa vita, di questa esperienza, di questa persona, che pur non avendo vissuto una vita felice, era contenta, ha saputo far sbocciare, far fiorire nella sua esistenza la gioia, la bontà e la pace, cose che noi non riusciamo a fare?>>.

Abbiamo forse una salute migliore della sua, una condizione più agiata? Eppure, la tristezza a volte ci divora. Se io vi chiedessi: <<Sei contento della tua vita?>>, no non dovete darmi una risposta. Penso, senza essere né profeta né figlio di profeta, di conoscere la risposta. Quello che vorrei fare è affermare insieme a voi che sicuramente i Santi ci sono d’esempio perché forse loro hanno capito qualcosa della vita o meglio, tutto quello che veramente è importante nella vita, e chissà se, per un momento anche noi, ascoltandone la testimonianza, l’esperienza, possiamo capire che c’è qualcosa che ci aiuta a vivere. Non credo che noi non siamo venuti qui, io da Caltagirone, a soffrire per un po’ di caldo, semplicemente per fare memoria. Siamo consapevoli che questo che viviamo oggi è un dono, una ricchezza, la bellezza della nostra esistenza. Quella vita, fratelli e sorelle, che non possiamo sciupare, non ci vuole tanta saggezza nel capire che ne abbiamo una sola. Noi viviamo una sola volta, un’unica volta e basta. E ce ne renderemo conto nel momento in cui saremo saliti al cielo. Noi non lo abbiamo scelto, nessuno ci ha chiesto il permesso di farci nascere. Adesso siamo tutti su questo grande treno della vita e ne scenderemo in un modo soltanto, capite allora che questa nostra vita è una cosa seria e che noi spesso non abbiamo il tempo, non abbiamo la serenità, né la lucidità per interrogarci sul modo in cui la stiamo vivendo, abbiamo pochi momenti di verità con noi stessi. Siamo, invece, condizionati e condizionabili da quello che accade fuori da noi. Certo, se a me, se a te, dicessero di avere un tumore, una malattia inguaribile, io non so quali forze noi avremmo dentro di noi per essere capaci di gestire questa malattia, di essere più grandi della sofferenza. Allora, fratelli e sorelle, vorrei con voi per quanto è possibile, rispettando il mistero e il segreto che è la vita di ogni uomo, cercare di capire che cosa ha determinato; ho cercato anche io di documentarmi, di leggere il grande materiale di questa umile suora, la quale ha vissuto ed ha anche scritto qual è il segreto della sua vita. Attenzione! Non si tratta solo del segreto della sua vita, può essere ed è il segreto della vita di ciascuno di noi. Ecco è un grande amore, fratelli e sorelle: la vita dell’uomo funziona soltanto se egli ha trovato nella sua vita l’Amore, se non l’ha trovato non funziona nulla, la sua stessa vita. Ecco perché l’introduzione iniziale celebra l’anno della Fede. Quando pensiamo alla fede che cosa pensiamo? Una cosa sola, quale peso ha Dio nella tua vita, chi è Dio per te? Ve lo chiedo fratelli e sorelle, perché un giorno il Signore ha posto la stessa domanda ai suoi discepoli, egli ha posto due domande. Alla prima siamo tutti braci a rispondere…

<<Chi dice la gente che io sia?>>

<<Un profeta, un uomo importante, Giovanni Battista che è resuscitato, un rivoluzionario, ognuno chi più ne ha, più ne metta>>. 

Poi il Signore li interrompe e chiede:

<<ma io, per voi, chi sono, dove mi collocate nella vostra esistenza?>> 

e qui noi, fratelli e sorelle non dobbiamo rispondere a parole astratte:

<<Signore, tu sei al primo posto, il mio io, il mio tutto, non sono più io che vivo, ma tu in me>>

suor Alfonsa ha fatto questa scoperta, ha creduto all’Amore di Dio. Tra poco noi ripeteremo la nostra professione di fede: quanti di voi la ripetono consapevolmente e quante volte l’avete fatto distrattamente? …Credo in Dio, Padre, Onnipotente… stasera che preparo, la zucchina, le melanzane…

Noi dovremmo credere ciecamente che Dio ci ama, perché se tu ci credi già… Pensa a quando incontri nella tua vita l’amore. Avete visto nella vostra vita uomini e donne trasandati, malandati, poi, quando incontrano l’amore si curano, si fanno belli. Cos’è successo? Niente, semplicemente si sono innamorati, ed è sufficiente perché gli occhi diventino subito luminosi, splendenti, si diventa altre persone. Suor Alfonsa ha creduto all’Amore che Dio aveva per lei, ma non un Dio astratto, un’idea, ma un Dio che era per lei Presenza, come il cappellano che diceva all’inizio: <<noi, qui, respiriamo una presenza>>; ecco quando tu ti innamori, hai dentro, hai accanto, senti dovunque una presenza che ti accompagna, che ti ha stregato, e non sei più tu che vivi, quella presenza ti condiziona in modo positivo a dare il massimo nella tua vita, ecco la fede. Noi crediamo in Dio che ci ama, non dovete credere in Dio perché a Dio ci crede pure il demonio, tant’è vero che un indemoniato dice di non nominarlo perché ci crede, ma non crede che Dio lo ama, la differenza è questa. Noi siamo invitati a credere che Dio ci ama e che su questo amore tu puoi giocarti tutta la tua vita e quando tu scopri che Dio ti ama, ecco che sperimenti la fede. 

Allora la vita diventa un’altra cosa, diventa la vita delle cose che non vedi, non capisci. Vi inviterei, poi, dopo questa professione di fede nell’amore di Dio, a leggere il capitolo della scrittura dedicato alla fede, il capitolo 11° dalla lettera agli Ebrei. La fede è sostanza delle cose che non si vedono, trova delle cose che si sperano, e tante altre cose belle; qualcuna ve la dirò in seguito. Cioè quando noi facciamo questa professione di fede, abbiamo questa certezza, che Dio ci ama; pensateci per un momento, se voi sapeste che la vostra vita dipendesse da vostro padre o da vostra madre, nessuno dubiterebbe del loro amore, avreste paura? No, invece teoricamente sappiamo che la nostra vita è nelle mani di Dio, ma di fatto non ci crediamo, siamo come “schizofrenici”tra la nostra fede che ci dice che la nostra vita è sempre e comunque in tutto e nonostante tutto nelle mani di Dio, le migliori mani in cui questa nostra vita possa essere custodita, siamo in una botte di ferro, ma di fatto non ci fidiamo di quel Dio che ci ama più di quanto noi possiamo immaginare, desiderare, volere e pensare, è Lui che si prende cura di noi, noi non dobbiamo fare niente, soltanto godere di questa Presenza. 

Il salmo, dice: <<come, il bimbo svezzato, in braccio a sua madre, così è l’anima mia>> attenzione, tutte le parole sono importanti, un bimbo svezzato, nelle braccia ci sta per la gioia di stare tra le braccia di sua madre, per godere di questa certezza, di questa sicurezza, di questo calore, ed è così la nostra vita, ecco il segreto di suor Alfonsa. Ha creduto a questo Amore, ha incontrato questo Dio vivo, e ha saputo e sperimentato che comunque andasse questa vita, era custodita, riscattata, salvata, redenta, e che le poteva capitare di tutto, a noi, invece tante volte capita solo di sentirci soli, di sentirci abbandonati, <<tutti mi hanno abbandonato, anche Dio>>, ed a volte lo diciamo. San Paolo dice: << nel tribunale tutti mi hanno abbandonato, ma il Signore è rimasto al mio fianco, ecco tutti hanno preso le distanze ma Dio mi è stato vicino>> ecco la certezza!

Puoi essere abbandonato dalla salute, da tutto, le speranze, la fiducia, i sogni possono rimanere infranti oppure conservati in un cassetto, però, non ti deve mancare mai la certezza che c’è un Dio che si prende cura di te. Poco fa vi dicevo che, se la vita dipendesse da quello che mia madre nutre nei miei confronti, non potrei temere, solo che mia madre e mio padre quando c’erano, avevano i loro limiti umani, potevano volere il mio bene, ma non potevano realizzarlo, invece Dio vuole il mio bene e vuole realizzare, con una differenza fratelli e sorelle che per Dio volermi bene significa volere il mio bene, quello che tante volte io non conosco, quello che tante volte a me può sfuggire, Dio ci vuole bene perché vuole il nostro bene. A quel punto la vita diventa un’altra cosa, a quel punto, non si tratta solo delle cose che io vorrei da Dio. Immagino che molti di voi, qui presenti, siate sposati. Quando vi siete innamorati avete, forse, detto alla persona amata: <<guarda che io non ti amo per te ma per le cose che mi puoi dare, che mi puoi portare>>? Se avete detto così l’altra persona vi avrebbe detto di ritornare indietro dalla strada dalla quale eravate venuti e di lasciarla sola. Ma voi fratelli e sorelle, voi ed io, quando andiamo da Dio, cosa Gli chiediamo? <<Signore io ho bisogno di Te oppure ho bisogno della guarigione>>? Quand’è che a Dio non avete chiesto cose, non avete chiesto favori, non gli avete chiesto grazie, non gli avete chiesto di liberarvi dalla malattia, ma gli avete detto: <<Signore io ho bisogno di Te>>? Eppure tante volte nelle lodi si prega, …l’anima mia ha sete del Dio vivente, come una cerva anela ai corsi d’acqua… ma quale sete, quale desiderio di Dio abbiamo? Qui, invece sta il segreto di una vita che poi cambia, perché quando tu credi all’Amore di Dio allora tu credi in tutto quello che non comprendi. Fratelli e sorelle, l’esperienza di Dio non si può capire con i limiti della mente umana, la vita non inizia con quello che io capisco. Dio non va accolto solo se lo capiamo, a determinate condizioni. Dio va accolto perché questo cambia la tua vita. Quando suor Alfonsa ha incontrato Dio, ha creduto a questo Amore, ha creduto a tutto quello che Dio le ha dato, non Gli ha chiesto più cose, gli ha chiesto semplicemente di essere accanto a lei in tutte le esperienze della vita e la prima cosa che Dio le ha insegnato è che per amore si possono sopportare anche le ferite della vita. Noi preghiamo un Dio Crocifisso, perché il Crocifisso ci insegna, fratelli e sorelle, che la nostra fede non è fondata su un Dio che ci toglie le ferite, che ce le risparmia, non le ha risparmiate a nessuno, neppure a Sua Madre, e Lui che era Dio, che poteva non portare quelle ferite, invece le ha scelte. Questa la Scuola del Crocifisso, la Scuola di Dio: imparare a portare per amore quelle cose che altrimenti non sopporteremmo: le difficoltà, le prove, gli ostacoli, le ferite, le malattie, le sofferenze che la vita ci dispensa. Dio non è una polizza di assicurazione contro gli infortuni della vita, noi non crediamo perché pensiamo che in questo modo Dio abbia nei nostri confronti un trattamento di favore: dobbiamo entrare nella logica della Croce, quel Dio dal quale noi vogliamo essere guariti è un Dio guaritore lui stesso, ferito. Sull’esperienza del profeto Isaia, l’apostolo al rientrò dirà: <<dalle sue piaghe siamo stati guariti>>, sono le piaghe che ci guariscono, capite? Il medico le diceva di pregare il suo Dio perché la raccogliesse presto, invece quel Dio le insegnava ed oggi insegna a noi a stare su una sedia a rotelle, a convivere con una malattia, con tutto quello che la vita in maniera inspiegabile dispensa, con la certezza che questo Dio ci dà la possibilità di vedere in altro modo, abbiamo bisogno di fare una sola scoperta e fino a quando non la facciamo, nelle nostre vite non può accadere nulla, se voi ci pensate, il nostro umore, il nostro stato d’animo, la nostra condizione dipende sempre da quello che riceviamo dall’esterno, se le cose vanno bene siamo contenti, se vanno male siamo tristi, ma la vita non funziona così, perché prima o poi, in questo modo, ne resteremo vittime!

Ecco, invece la nostra vita deve dipende da noi, da ciò che abbiamo dentro. 

Dio tramite i Santi ci fa capire che non cambia questa vita tramite i miracoli, perché la mia fede, la tua fede, fratello, sorella, non si fonda sul Dio che fa miracoli. Vi ricordate quel soldato sotto la croce diceva: <<scendi dalla croce e ti crederemo>> ma Lui non è sceso, immaginate se fosse sceso dalla croce, Gli avremmo sempre potuto rimproverare <<Signore, tu al dunque, hai lasciato la croce e te ne sei voluto andare>>; invece noi dobbiamo rimanere inchiodati, perché Dio è voluto rimanere inchiodato su quella croce, per insegnare a tutti noi a portare la croce, anche semplicemente quella del tempo che scorre via, che passa, della vita che non è infinita per insegnare a portarla con dignità e soprattutto per amore; la nostra fede continua a vivere dentro le prove e le sofferenze della vita. E sempre quell’11° capitolo dalla Lettera agli Ebrei dice così: <<…tutti costoro trassero forza dalla fede dalla loro debolezza…>>; la nostra debolezza, la nostra fragilità, il tempo che se ne và, le malattie, le sofferenze, gli anni che volano via, le forze di quando avevamo 20 anni. Invece dobbiamo riuscire a trovare forza, coraggio dalle nostre stesse debolezze, perché questo Dio non cambia le situazioni difficili, ma cambia noi nelle situazioni! Dio non ha tolto a Suor Alfonsa la sedia a rotelle ma le ha dato la forza, il coraggio, la luce, una prospettiva nuova, la capacità credente di affrontare, di vivere per 26 anni su quella sedia a rotelle, per fare di quella sedia a rotelle una cattedra da cui impara a vivere la vita in un altro modo, ecco il segreto che ci ha dato. Non gli chiedete altri miracoli, perché credetemi, quella è la risposta al vostro problema. Non chiediamo l’intercessione di Suor Alfonsa per liberarci dalle difficoltà e dalle malattie, chiediamoLe invece il miracolo di avere la fiducia in Dio, di avere la forza per affrontare, di avere quella forza di Dio, con la prospettiva di Dio, il mistero della nostra vita, la certezza che questa vita è garantita, riscattata, risolta, salvata, redenta, come Lui ci dice nell’Apocalisse: <<ci sarà un giorno in cui Lui stesso, Dio, si incaricherà di asciugare tutte le nostre lacrime, non ci sarà più la sofferenza, la malattia e la morte>>. 

Noi crediamo che questa condizione è destinata, è proiettata, è finalizzata ad una esperienza di rinnovamento, di trasfigurazione, di cambiamento, e qui dobbiamo portare il peso alla condizione, questa nostra esistenza fatta di gioie e di dolori, ecco allora perché la sua spiritualità non può che essere una spiritualità di offerta, di ostia, di Eucaristia. La sua vita, la sua esperienza è così ricca di esistenza e voi sapete più di me che quella sua vita è stata un’eucaristia vivente. Ma quando noi tutti partecipiamo alla Messa, sembra che partecipiamo ad una cosa che non ci tocca. Il concilio dice: “nell’Eucaristia i Cristiani imparano meglio ad offrire se stessi”. Possiamo fare una prova, prendiamo tutti i verbi che tra poco l’Eucaristia ci ricorderà, io velocemente ve ne faccio un elenco perché l’Eucaristia che Gesù Cristo ha celebrato, che suor Alfonsa ha celebrato, che il vostro fondatore vi ha lasciato come spiritualità non è solo un’Eucaristia vissuta da un punto di vista liturgico, rituale ma, da un punto di vista esistenziale. 

Il rito eucaristico dice che: <<il Signore quella notte, si alzò, prese il pane, rese grazie, lo benedisse, lo spezzò, lo diede, prendete, mangiate, fate questo in memoria di me…>>, questi sono i verbi. Questo è quello che ha fatto Gesù Cristo, quello che hanno fatto quelli alla sua sequela, i discepoli di Gesù Cristo, quello che ha fatto suor Alfonsa e quello che siamo invitati a fare noi, non vogliamo che la sua lezione resti una lezione che non ci tocchi, un esempio che non ci smuova, un modello che non ci dice nulla, o qualcosa che, a conclusione di questa Celebrazione, ci ha lasciati come ci ha trovati all’inizio. Questo è come sempre un appuntamento, un’occasione che il Signore ci dà ogni anno, l’occasione vera, ultima, importante, fondamentale, determinante, per capire la verità, il senso, il mistero della nostra vita. Non sciupiamolo! 

Nelle difficoltà sei capace di alzarti, di non scoraggiarti, di non perdere la forza, sei capace come Gesù di prendere in mano la tua vita? Il pane che noi prendiamo: <<questo è il mio corpo>>. 

Sei capace di prendere le tue malattie, le tue sofferenze, la tua realtà, la tua condizione, quello che sei realmente così com’è, di prenderlo in mano e cosa dici della tua vita, ti lamenti? Gesù benedisse, disse bene, ringraziò! Capite fratelli, noi partecipiamo all’Eucaristia per dire bene, per ringraziare il Signore della nostra vita però appena usciamo ci lamentiamo. Dobbiamo celebrare l’Eucaristia dobbiamo ascoltarlo: <<ecco, fate questo in memoria di me, fate come ho fatto io>>, facciamo come ha fatto Dio, benediciamo, ringraziamo, impariamo da Gesù Cristo, da quella vita che di li a poco sarebbe stata consegnata ai suoi nemici con la dignità di un Dio che sulla Croce disse: <<Nessuno mi toglie la vita, ma la dono!>>

Cioè riuscì a fare di un atto di violenza quella che gli altri gli stavano imponendo, in maniera assoluta e gratuita, riuscì a farne un dono e, prese questo pane che era la sua vita e il suo corpo e lo spezzò per darlo agli altri; come hanno fatto i Santi, hanno preso la loro condizione, la loro vita, come ha fatto suor Alfonsa, una che durante la sua vita ha capito che c’è qualche cosa che sfida la morte, che la supera. Per questo siamo qui, per imparare anche noi a prendere la nostra storia e farne dono, a farne pane spezzato, a donarci per la salvezza, per sanare il cuore e la mente di felicità e di quella gioia che l’uomo va cercando. Prese quel pane e disse: <<…prendete e mangiatene tutti…>>

Messina, 23 Agosto 2012

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