Omelia XVI Anniversario - 23 Agosto 2010 - Suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino Ancella Riparatrice

Omelia XVI Anniversario – 23 Agosto 2010

Monsignor Giovanni Marra
Arcivescovo di Orvieto – Todi

Omelia a cura di Mons. Giovanni Marra

Desidero, innanzi tutto ringraziare Don Giovanni Ferrari, la Presidente dell’Associazione “Amici di Suor Alfonsa” per il saluto che mi ha rivolto all’inizio di questa celebrazione. Devo dire che, la vostra gioia per la mia presenza, coincide con la mia gioia. Sono davvero lieto di essere qui, a Messina, dove ho avuto così l’avventura di poter servire questa città e l’arcidiocesi per dieci anni circa. E sono lieto di essere qui, in modo particolare, per presiedere questa liturgia nel ricordo del XVI Anniversario della morte di Suor Alfonsa. Perché come è stato ricordato, ho avuto anche qui, il privilegio di dare inizio alla causa di beatificazione e canonizzazione di suor Alfonsa. E ho avuto il privilegio di predisporre tutti quegli organi previsti dalle norme canoniche per poter avviare questa causa, quindi, la Costituzione della Commissione Teologica, della Commissione Storica e tutto quello che era necessario. 

Saluto, ovviamente, la Superiora Generale delle Ancelle Riparatrici e tutte le care Ancelle Riparatrici che già conoscevo prima di venire a Messina, quando ero vescovo. Ho conosciuto anche la Madre Superiora di quel tempo. Lei veniva dal Brasile, paese di cui era originaria di là. Quando le suore sono partite da Roma per il Brasile, io ero lì ed ho avuto il piacere di salutarle. Quindi, già esisteva un legame con le Ancelle Riparatrici e con il Fondatore (A. Celona), nel senso che, già da allora, ho incominciato a leggere qualcosa degli scritti stupendi di questo santo Sacerdote, del quale, peraltro, è in corso, la causa di beatificazione. Se permettere, saluto frà Tonino che è l’anima di questo movimento e di questa causa instancabile e di ogni iniziativa: credo, infatti, che, se si è creato un movimento così intenso, non vi è dubbio che il grande merito sia suo; lo ringrazio e mi compiaccio di quello che fa per far conoscere il messaggio di suor Alfonsa. Un saluto carissimo ai cari sacerdoti qui presenti, ovviamente, mi sento profondamente legato a tutti; don Frattallone, il primo che mi ha fatto conoscere la vita di suor Alfonsa, il suo scritto. Mi pare che, a quel tempo abbia fatto una prefazione a quello scritto di Suor Alfonsa e, da quello scritto ho capito che, veramente dentro quella suora c’era qualcosa di grande e c’era un messaggio che non poteva rimanere chiuso nell’ambito della nostra città ma doveva essere conosciuto; conosciuto su territori più ampi e direi, per tutto lo spazio della Chiesa Cattolica ed è per questo che è stata avviata la causa di beatificazione. 

E poi qui, potrei nominare uno per uno i sacerdoti, il Presidente del Tribunale, mons. Foti, comunque ognuno di voi si senta salutato con affetto da me. E vi ricordo uno per uno, ricordo il vostro cammino fatto in quei dieci anni e, in qualche misura conosco ora quello che state facendo. Tra gli altri vedo quello che è stato mio segretario per tanti anni, Monsignor Cesare Di Pietro, il quale ora ha iniziato, tornando da Roma, a dirigere come rettore il Seminario arcivescovile, appunto, importante per la formazione dei giovani. 

E credo che lui mi confidò una volta che era stato qui, nella Chiesa dove suor Alfonsa , rimaneva seduta per ore ed ore, in preghiera ma anche in ascolto, in colloquio; e che anche lui si era avvicinato per parlare con suor Alfonsa e chiedere qualche consiglio. 

E’ così vero?… Quindi ricordo bene!

Questo mio ritorno mi fa ricordare queste cose e, in certo qual modo, questi ricordi mi emozionano, mi commuovono, ma mi commuove soprattutto, cari fratelli, vedere voi, così numerosi. A voi tutti un saluto cordiale, affettuoso, perché una folla così numerosa, davvero, non l’attendevo. 

Avevo, qualche volta celebrato questa liturgia per suor Alfonsa. Sì, c’era tanta gente ma, non così come oggi. Tutto questo spazio coperto, corridoio, finestre, è segno che, suor Alfonsa sta entrando, sempre di più, nel cuore dei Messinesi. 

Sedici anni dalla morte di suor Alfonsa, ecco, non sono passati invano. Venendo qui, vedevo questa scritta che non avevo visto prima, un seme che diventa un albero ma ho pensato anche, in certo qual modo alla stessa Associazione degli Amici di suor Alfonsa: anche quella era un seme che sta diventando un albero con tanti rami, tante foglie e, direi anche, con tanti frutti. 


Vorrei questa sera, così, molto rapidamente, ricordare la vita di suor Alfonsa, che non è stata una vita lunga, ha vissuto 57 anni, perché è nata nel 1937 ed è morta nel 1994. Io, personalmente, non l’ho potuta incontrare perché sono arrivato a Messina nel 1997 e, leggendo le varie cose che sono state scritte, ho pensato che questa sua breve esistenza si può distinguere in tre periodi: il primo periodo, quello della FORMAZIONE; il secondo periodo, quello della MISSIONE negli Stati Uniti; il terzo periodo, quello della TESTIMONIANZA e della SANTIFICAZIONE, qui in casa madre e qui, nella Chiesa, nel Tempio di Gesù Sacramentato. 

Certamente lei ha sentito il bisogno di consacrarsi al Signore, certamente da piccola aveva questa spinta, questa propensione verso il Signore e verso il dono totale di se stessa, un dono attraverso il sacrificio, attraverso tutte le difficoltà che una scelta di questo tipo poteva comportare. 


Ecco, brevi cenni del periodo della sua formazione: Lei, nata a Tarquinia, nel Lazio, in provincia di Viterbo, dove i suoi genitori lavoravano e spesso trasferitasi in vari luoghi, a Mineo, ad Augusta, a Santa Teresa di Riva, dove i suoi genitori si trasferirono, appunto, per il lavoro, e fu a Santa Teresa che conobbe, a quanto pare le Ancelle Riparatrici. Lì ha scoperto il carisma di Antonino Celona e ha cominciato a sentir parlare di RIPARAZIONE e ha capito che ognuno di noi con la nostra fede, con la nostra opera, con il nostro impegno può collaborare a questa riparazione, perché il grande riparatore, potremmo dire, l’unico riparatore è Lui, Cristo, che ha riparato i nostri peccati: il primo peccato, quello dei nostri genitori ma anche tutti i nostri peccati con il sacrificio della croce. Ognuno di noi può contribuire a questa redenzione, a questa riparazione e probabilmente da qui, suor Alfonsa ha capito che doveva donare la sua vita per questa riparazione. E così all’età di 19 anni (c’è una bella fotografia di lei nei tanti libri proposti da frà Tonino, una bella fotografia da ragazza che, sceglie di donarsi totalmente al Signore a 19 anni, nel fiore della giovinezza), nel 1956, entra qui, nella Casa Madre, per fare il Postulantato di un anno; il 1957 è l’anno del Noviziato, l’anno di formazione, perché la formazione non poteva non partire dal grande Antonino Celona. La riparazione, cari fratelli e sorelle, è un concetto teologico che, può apparire difficile ma noi possiamo entrare in questo meccanismo della riparazione, perché tutti noi possiamo, in un certo qual modo, ripetere quello che dice il sacerdote sull’altare nel momento della Consacrazione. 

<<Prendete e mangiatene, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi>>

Questa offerta la possiamo fare tutti. Certamente il Sacerdozio Ministeriale è quello che rende presente Cristo sull’altare ma ogni fedele che partecipa al sacerdozio comune, può mentalmente ripetere queste parole. Ed ecco, mentre viene offerto il corpo di Cristo, noi offriamo il nostro corpo, come sacrificio per la redenzione, la riparazione, la salvezza nostra e la salvezza del mondo. 

Questo è un concetto che può apparire difficile. In fondo se noi scopriamo che possiamo unirci a Cristo in tutto quello che ha operato per la redenzione del mondo, allora anche noi possiamo partecipare e, partecipiamo pienamente, a pieno titolo a quello che è il Mistero della Redenzione operato da Gesù. Nel 1960 lei pronuncia i primi voti, quelli temporanei, i voti religiosi di povertà, castità ed obbedienza: il suo impegno di donarsi totalmente al Signore nella povertà, nella castità, nell’obbedienza. E possiamo dire che, in quell’occasione ha dato quella risposta molto bella che troviamo nell’Antico Testamento, perché proprio in quell’occasione della professione religiosa, lei si consacra totalmente al Signore, risponde alla chiamata del Signore. 

<<Eccomi, mi hai chiamato Signore, eccomi, sono qui per rispondere alla tua chiamata!>>

E’ in un certo qual modo, illuminata da Maria, la Madre di Gesù che, certamente l’ha assistita, l’ha accompagnata per tutta la sua vita. 

Suor Alfonsa non poteva non ricordare le parole di Maria all’Angelo:

<<Eccomi, sono la Serva del Signore, avvenga di me, secondo la tua Parola>>

E quindi lei metteva tutta la sua volontà, tutto il suo animo, tutto il suo cuore nelle mani del Signore, perché facesse di lei, tutto quello che Lui aveva programmato, aveva stabilito per la sua vita. 


Il secondo periodo della vita di suor Alfonsa è il periodo che, abbiamo chiamato della Missione. Sr. Alfonsa certamente ha risposto ad un’obbedienza; l’hanno trovata giovane, entusiasta, pronta ad annunciare la Parola di Dio, pertanto i Superiori di quel tempo l’hanno mandata negli Stati Uniti, nello stato dell’Ohio, dove appunto, era stata allestita la prima casa e dove lei aveva dei compiti semplici, umili, il compito di assistere ai bambini, il compito di provvedere anche ai servizi domestici, come del resto, tutte le suore fanno nella comunità. Ma purtroppo, nei primissimi anni del 1960 cominciarono ad apparire i primi sintomi della malattia, che l’accompagnerà per tutta la vita. 

Era quella, la malattia, la via stretta, attraverso la quale, lei avrebbe dovuto compiere il suo cammino spirituale, di santificazione e dell’incontro con il Signore. E questa malattia evidentemente è cresciuta di giorno in giorno, di anno in anno, finché nel 1967 viene ricoverata in ospedale, negli Stati Uniti d’America e le viene diagnosticata l’artrite reumatoide progressiva anchilosante, debilitante. Insomma, una malattia peggiore di questa non poteva capitare a suor Alfonsa. Ma nel 1964 suor Alfonsa ha pronunciato la professione solenne, quella perpetua, e già aveva capito che il suo cammino era quello della sofferenza, era quello di accettare il cammino della vita come una passione, simile a quella di Cristo, abbracciare la croce, ma non solo abbracciare la croce, salire sulla croce, perché suor Alfonsa con la sua vita non ha solo abbracciato la croce ma è salita sulla croce e si è lasciata crocifiggere dal male insieme a Cristo per collaborare, appunto, a quella riparazione che era il carisma di suor Alfonsa e di cui abbiamo parlato. Ed ecco allora che, con quella malattia suor Alfonsa non serve più, non serve più restare in America, può ritornare in Italia, andare da qualche parte, buttata lì, così, perché una persona che ha questo male, non può essere utilizzata per niente.

E’ questa la terza fase della vita di suor Alfonsa: nel 1968 viene in Italia e qui immaginate cosa avranno pensato le sorelle, <<che facciamo di suor Alfonsa? Non possiamo fare niente. Va bene, potrà pregare e questo è già importante e potrà testimoniare anche questa sua sofferenza. Può darsi che saprà farlo>>. E infatti la vita di suor Alfonsa, venuta qui, si è inserita in quel magnifico Tempio di Gesù Sacramentato, dove lei si fermava tutti i giorni, accanto al fondatore e qui, viveva, rifletteva, pregava per se stessa, per le Ancelle Riparatrici, per la comunità, per la città, certamente, la sua vita era qualcosa di straordinario, di veramente molto grande. Ecco a cosa serviva! Ecco, si è capito subito che, forse, era la più attiva, la più operosa di tutta la comunità e forse, di tutta la città. 

Dopo pochi anni, non potendo più camminare la malattia la costrinse a servirsi di una sedia a rotelle che lei con quella ironia spirituale chiamò “il mio trono regale”. Ma, altri, seriamente, l’hanno chiamata “la cattedra” dalla quale lei ha dato quell’insegnamento grande, straordinario che è il motivo per il quale voi e noi tutti siamo qui, oggi, l’insegnamento del significato, del dolore, della sofferenza, che non sono cose inutili, sono cose straordinariamente utili, perché noi, attraverso la sofferenza di Cristo, siamo stati redenti e, ripeto, anche noi possiamo collaborare a questa redenzione. 

Quindi non solo pregava, rifletteva, meditava, ma ha aperto quasi un luogo di ascolto, la gente la vedeva e, certamente ha cominciato ad ammirarla, ha capito che si trattava di un’anima santa alla quale si poteva confidare le proprie pene, le proprie sofferenze, per avere un po’ di conforto e lei sapeva dare questo conforto. Lo dava con il suo sorriso, lo dava con le sue parole. Le chiedevano delle preghiere, chiedevano a lei dei consigli e lei tutto questo lo poteva dare. 


Ecco, un postulato straordinario ha compiuto suor Alfonsa, in questi anni, soprattutto da quando per 21 anni è vissuta sempre sulla sedia a rotelle. Le sorelle erano tutte mandate nelle case ad occuparsi dei giovani, dei bambini, in maniera attiva. Lei, che sembrava non essere in grado di fare niente, lei, invece, è stata capace di fare tutto. E’ tanto grande questa testimonianza di che cosa significa accettare il dolore ed aiutare gli altri a sopportare le difficoltà della vita. 

Ecco, la vita di suor Alfonsa si riduce a questo: sembra poco ma è moltissimo. Il 23 Agosto del 1994 si conclude il cammino terreno ma, inizia un altro cammino, continua la sua testimonianza di amore a Cristo ed alla Chiesa, continua a far diffondere quel profumo di santità che l’aveva già circondata e, subito dopo la sua morte, si è formata questa Associazione e, nel 1997 quando sono arrivato, una delle prime cose che mi è stato chiesto, è stato il riconoscimento di questa Associazione “Amici di Suor Alfonsa”, perché questo messaggio doveva essere portato avanti, doveva essere conosciuto. 

E devo dire che sono stato veramente lieto di conoscere l’Associazione “Amici di Suor Alfonsa” e poi di avviare la causa di beatificazione. Alcuni volevano che si facesse subito, ma voi sapete che, la causa di beatificazione si può avviare dopo dieci anni. Noi l’abbiamo cominciata prima dei dieci anni necessari. Per Madre Teresa di Calcutta il Papa ha acconsentito che cominciasse dopo cinque anni, ma noi abbiamo più o meno cominciato dopo cinque anni e nel 1999 abbiamo costituito gli organi come il Tribunale e tutto ciò che era necessario. Non solo, poco prima di lasciare Messina, nel 2006, ho avuto anche la gioia di accogliere insieme alla Madre Generale, a tanti di voi, a frà Tonino, ai sacerdoti, le spoglie mortali di suor Alfonsa, traslate dal Gran Camposanto dove si trovavano a questo luogo, nel nostro tempio dove ora si trovano e dove tutti noi possiamo avvicinarci e pregare quando noi proviamo questo nostro dolore e questa nostra sofferenza. E per concludere, vorrei fare riferimento a lei, rivolgendole una parola, traendola da quelle parole che sembrano riferirsi proprio a suor Alfonsa, dalla I lettura di San Paolo. 

Cosa fa San Paolo? Loda i Tessalonicesi per la loro fermezza d’animo, per la forza della loro fede e loda il loro coraggio, per come hanno dovuto sopportare le persecuzioni e le tribolazioni. Anche noi possiamo lodare allo stesso modo Santa Alfonsa perché ci ha dato la testimonianza di fede, di forte fede ed è stata capace di sopportare anche lei le tribolazioni dovute alla sua grande malattia. Mi pareva che San Paolo ci aiutasse a dire: lodiamo questa suora che ha dato una testimonianza così coraggiosa di fede e di coraggio. E ancora, nello stesso brano di San Paolo, troviamo un’altra frase dove, si parla della chiamata, diciamo, la consacrazione all’azione della Chiesa, la funzione del vangelo; e poi dice ad un certo punto:

<<…perché sia glorificato il Nome del Signore, nostro Gesù Cristo, Lui in voi e noi in Lui, sia glorificato il Nome del Signore>>

Cosa richiamano queste parole?

Queste parole richiamano il motto del fondatore, Padre Antonino Celona:

<<Magnificate con me il Signore ed esaltiamo insieme il suo Nome>>

E’ la stessa frase. Sono le stesse cose e quindi il ricordo. Quante volte suor Alfonsa ha meditato queste parole, il Nome Santo del Signore! Il vangelo!

Il vangelo, anche qui, troviamo riferimenti a suor Alfonsa; Gesù, vi dico rapidamente, brevemente, rimprovera in modo forte, come avete sentito:

<<…guai a voi scribi e Farisei, falsi e bugiardi…” 

eccetera, ecco, guai a voi che considerate importanti le cose che appaiono, l’oro, l’offerta, ossia le cose utili, le cose che possono servire, casomai, al loro interesse e non tengono conto, invece, di ciò che rende l’oro sacro, l’offerta sacra, perché è sacro l’oro del tempio; se noi facciamo riferimento al tempio perché è luogo di Dio, allora l’oro diventa cosa sacra ma, non l’oro in sé. Lo stesso vale per l’offerta, essa è tanto importante se è legata all’altare. Il rimprovero, fatto ai Farisei è che hanno trascurato di fare riferimento a Dio ed al Suo Regno. Perché chi conosce la legge di Dio come avrebbero dovuta conoscerla gli scribi ed i Farisei? Noi Cristiani sappiamo che dobbiamo fare tutto in riferimento a Lui, in riferimento al Suo Regno come ha fatto suor Alfonsa. Tutto ciò che le faceva, lo faceva in riferimento a Dio ed al Suo Regno, a cominciare dalla sofferenza. Allora sì che la sofferenza acquista valore, acquista significato, perché la sofferenza guardata in se stessa non è un fatto positivo, credo che nessuno voglia soffrire, voglia provare dolore. La sofferenza fine a se stessa è un elemento negativo. Soltanto se noi la rapportiamo a Dio, come ha fatto suor Alfonsa, se noi la rapportiamo alla Passione di Cristo, alla Croce di Cristo, allora la sofferenza acquista un valore. Ed è per questo, cari fratelli e sorelle, che suor Alfonsa poteva scrivere con la sua grafia, con le sue mani deformate, ha potuto scrivere il credo del dolore. 

<<…credo al dolore come dono di Dio…>>

Diventa un dono di Dio, ciò che, fine a se stesso, potrebbe essere un male, non è più un male. Il dolore per suor Alfonsa è un dono generoso di Dio. 

<<…credo al suo immenso valore…>> dice suor Alfonsa, 

<<…credo al dolore offerto con quello di Cristo…>>

nascondendolo con il sorriso sulle labbra, è lei che lo scrive. 

E difatti, nonostante le sue condizioni di sofferenza, tutti ammiriamo la sua serenità ed il sorriso che illuminava il suo volto. Infine, suor Alfonsa con questa visione del dolore e della sofferenza poteva affermare con San Paolo:

<<…con le mie sofferenze completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa…>>

Così dicendo, concludo che nulla manca a Cristo per la redenzione del mondo, però a noi manca qualcosa, manca unire le nostre sofferenze alle sue, come ha fatto suor Alfonsa. 

E’ questo il messaggio che ci lascia oggi e che dobbiamo accogliere. Uniamo anche noi le nostre sofferenze a quelle di Cristo e così, prepareremo la nostra redenzione e la redenzione del mondo, come ha fatto suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino. 

Amen.

Messina, 23 Agosto 2010

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