Omelia IX Anniversario - 23 Agosto 2003 - Suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino Ancella Riparatrice

Omelia IX Anniversario – 23 Agosto 2003

Monsignor Salvatore Pappalardo vescovo di Nicosia
a cura di MONS. SALVATORE PAPPALARDO

Ringrazio padre Tonino Bono, vice postulatore della causa di beatificazione , madre Antonella Gulino, superiora generale della congregazione delle suore Ancelle Riparatrici del SS. Cuore di Gesù, e la signora Marcella Foti, presidente dell’associazione “Amici di suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino”, per l’invito che mi hanno rivolto a presiedere questa celebrazione particolarmente solenne, che, essendo l’Eucaristia, è principalmente di lode e di ringraziamento a Dio per Suo Figlio Gesù Cristo. E’ Lui, infatti, ad aver avuto ragione della nostra morte, ed in Lui e per Lui, nell’unità dello Spirito, sale al Padre la lode, dovuta da parte di ogni uomo. Questa celebrazione, inoltre, vuol essere di ringraziamento anche perché il Signore, in suor Maria Alfonsa, ci ha manifestato un segno particolare del Suo amore, dono per tutti gli uomini affinché possano veramente essere partecipi della vita di Dio e vivere da figli di Dio. Suor Maria Alfonsa ci è stata donata dal Signore come figura che certamente eccelle sia per la fede che per la testimonianza. Ringrazio, quindi, anche perché così mi è stato dato modo di poter partecipare a questo momento di festa: infatti, anche se oggi ricordiamo per la nona volta il pio transito di questa Suora, noto sul volto di tutti i presenti quella gioia e quella serenità proprie di coloro che hanno i cuori in festa.


Il brano del Vangelo di questa liturgia (stiamo celebrando il rito della domenica XXI del tempo ordinario dell’anno B) conclude il lungo discorso di Gesù sul “pane della vita”, tramandatoci dall’evangelista Giovanni al capitolo VI del suo Vangelo. Nelle domeniche precedenti abbiamo ascoltato proclamare alcuni passi di questo discorso così importante e significativo che Gesù tenne ai suoi discepoli e nel quale affermò di se stesso:

<<Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita nel mondo>>.

Non so quale sia stata la reazione di ciascuno di voi a queste parole, ma certamente chi le ascoltò per la prima volta, reagì dicendo: <<Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?>>. In effetti le parole di Gesù si pongono su un piano superiore a quello delle capacità umane e cioè su quello della rivelazione di Dio: <<Le parole che vi ho dette sono spirito e vita>>. La comprensione di questo discorso ci è impossibile senza quella luce che viene dall’alto ed apre il nostro animo alla fede.

Noi, quindi, non dobbiamo meravigliarci della reazione dei Giudei; infatti, se dovessimo interrogarci su quali sentimenti suscitino nel nostro animo queste parole di Cristo, credo che, se non possedessimo la fede, anche noi, stasera, uno alla volta, ce ne andremmo via da qui. Rimaniamo invece perché abbiamo, per grazia di Dio, quella “luce” che ci mette in condizione di lasciarci istruire dalla parola del Signore e guidare dallo Spirito. 


Con il discorso sul “pane della vita” Gesù si pone innanzi ai suoi interlocutori, innanzi a noi, come un segno di contraddizione. E’ Lui, e nessun altro, il “pane vero” disceso dal cielo. Aveva detto, infatti, in qualche passo precedente dello stesso discorso:

<<Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero>>, aggiungendo anche: <<Io sono il pane vivo, disceso dal cielo>>.

Questo pane è quindi Gesù, e nessun altro! Gesù dichiara ancora una volta la Sua mediazione tra Dio e gli uomini; solamente per mezzo di Lui si può arrivare a Dio:

<<Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita>>.

Questa è la condizione assolutamente necessaria per avere la vita, la vita di Dio. Nessun altro può darla, solamente Cristo, perché soltanto Lui è il Figlio dell’uomo, colui sul quale Dio ha posto il suo sigillo.

<<Chi mangia questo pane vivrà in eterno>>

:solo il pane che dà Cristo però, l’unico che è il vero pane che viene dal Cielo. In questo discorso Gesù afferma anche che credere in Lui non sia un nostro merito, bensì un dono gratuito di Dio:

<<Nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio>>. 

A questo punto qualcuno potrebbe dire: <<Dov’è, dunque, il merito dell’uomo? Ed allora, cosa significa avere fede?>>.

La fede è innanzi tutto un dono di Dio, per cui noi, in quanto crediamo, già dobbiamo ringraziare il Signore. Non dobbiamo sentirci migliori perché abbiamo creduto: è proprio il Signore che ci dà questa luce interiore, che ci appaga in Lui, e che rivolge a noi il Suo sguardo benigno, chiamandoci a vivere una vita nuova, dono di Dio, che ci rende simili a Lui e Suoi figli. La fede è quindi un dono:

<<Nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio>>. 

Da quel preciso momento, come ascoltato nel Vangelo di questa sera, molti dei Suoi discepoli si tirarono indietro e non Lo seguirono più. Una constatazione questa che ci deve far riflettere. Anche lo stesso Gesù fu spinto a rivolgersi ai “Dodici”: coloro che si erano allontanati, infatti, non erano solamente gente comune, colpita dal miracolo della moltiplicazione dei pani, a cui non interessava altro se non solamente la possibilità di essere sfamata con facilità, ma anche tra i discepoli si erano registrate parecchie defezioni. Per questo motivo, quindi, Gesù si rivolse agli Apostoli, dicendo:

<<Forse anche voi volete andarvene?>>.

La risposta a questa domanda venne fornita a nome dei “Dodici” da Simon Pietro:

<<Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna>>. 

La risposta data da Pietro a me sembra molto bella: ritengo infatti che l’Apostolo, in maniera molto semplice e sintetica, con questa frase ci faccia comprendere esattamente cosa significhi credere nel Signore Gesù. La risposta che dunque siamo chiamati a dare è proprio questa: sapere, ed avere la certezza, che soltanto Gesù Cristo abbia le parole di vita eterna. E’ questo il senso della vita cristiana!

Tutto ciò ci viene già donato con il Battesimo, nel momento in cui veniamo segnati dal sigillo dello Spirito. Noi apparteniamo a Dio già con questo sacramento che, come dice la Chiesa, è il culmine della vita cristiana. Tutti gli altri sacramenti attraverso l’Eucaristia, comunione di vita con Cristo, ci mettono in unione con le Tre Persone della SS. Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. E’ questa la vita cristiana! Il cammino qui propostoci è quello della fede: chi crede in Cristo avrà la vita eterna; nel Cristo, e solamente per mezzo di Lui, ciascuno potrà avere, ed avrà certamente, la vita per tutta l’eternità. 


Questa Parola di Dio ci invita a riflettere ed a ringraziare il Signore anche per la nostra presenza qui, stasera: noi abbiamo creduto alla Sua parola ed abbiamo conosciuto il Suo amore, ma ora ciascuno di noi ha la necessità di rinnovare la sua adesione a Cristo, la sua fede. 

Così, come abbiamo ascoltato dalla prima lettura, Israele, il popolo d’Israele è invitato a fare la sua scelta. Dice Giosuè:

<<Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire>>.

Quel popolo aveva conosciuto il Signore ed anche i disegni che Egli aveva fatto su di esso durante la traversata del deserto: dopo però era stato chiamato a fare la sua scelta. Come il popolo d’Israele, anche noi siamo chiamati a fare la nostra scelta, e cioè servire il Signore, oppure altri dei. O, più esattamente, credere in Cristo e divenire Suoi discepoli accogliendo il Suo Vangelo, oppure seguire i vari profeti o le diverse dottrine del nostro tempo. 

Dobbiamo però sapere che la scelta di Cristo è impegnativa: è una scelta infatti che riguarda e coinvolge tutto il nostro essere; la fede non tocca soltanto la nostra intelligenza, ma ci impegna ad aderire a Cristo, a seguire Gesù Cristo. 

La fede è quell’atteggiamento che poi diventa anche modo di vivere e che Pietro proclama, dicendo:

<<Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna>>. 

La fede ci impegna ad uscire da noi stessi per metterci alla sequela di Cristo. Questa scelta ha bisogno di essere continuamente motivata e la motivazione è proprio quella a cui abbiamo accennato:

<<Tu hai parole di vita eterna>>.

E’ una scelta che diventa la nostra vita, ed anche la certezza della nostra vita. 

La fede diventa poi più vera, più salda e più certa, man mano che va intensificandosi la nostra frequentazione con il Signore. Dobbiamo stare con Lui e, come i primi discepoli, nutrirci della Sua parola ed avere anche quella frequentazione che si realizza con i sacramenti, e, principalmente, con l’Eucaristia, che ci rende presente Cristo, il quale si dona a noi con un gesto di carità perfetta. 

<<Li amò sino alla fine>>,

così annotava l’evangelista Giovanni, narrando dell’ultima cena di Gesù. L’Eucaristia rende Cristo presente in mezzo a noi che si dona. L’accostamento frequente a questo sacramento e ai doni di Cristo ci dà quella certezza che ebbero gli Apostoli:

<<Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio>>. 


Questa Eucaristia che stiamo celebrando ci pone di fronte a Cristo e ci interpella su una scelta decisiva per Lui: la nostra, infatti, non è soltanto una semplice partecipazione ad un rito sacro, ma è anche un’adesione che ci coinvolge nel mistero di quel pane spezzato e di quel sangue versato, che sono il Corpo ed il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, consegnati alla Chiesa perché anch’essa faccia quanto Egli ha fatto, amandoci fino al dono di se stesso:

<<Fate questo in memoria di me>>.

L’Eucaristia perciò ci invita e ci obbliga ad uscire da noi stessi per seguire Cristo, per vivere con Lui, e, insieme a Lui, far divenire noi stessi pane spezzato per i fratelli, affinché la nostra vita con Gesù diventi offerta che completi ciò che manca alle Sue sofferenze per la salvezza del mondo. Ricordiamo tutti l’espressione dell’apostolo Paolo:

<<Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo>>,

in cui si può notare una partecipazione personale alla sofferenza, alla passione del Signore, per essere con Lui partecipe dell’opera di redenzione.


In questa luce mi pare si possa leggere l’esperienza religiosa di suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino. Cosa significa credere nel Signore? Come ha vissuto la Serva di Dio quelle parole dell’apostolo Pietro:

<<Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna>>?

Ella ha creduto fermamente che Gesù fosse il Maestro, il Signore, e che non ve ne fosse nessun altro. Chi altri avrebbe potuto spegnere quella sete d’amore che aveva nel suo cuore?

Partendo proprio dalla certezza che Gesù fosse il Signore e che solo Lui avrebbe potuto dare significato alla sua esistenza, suor Maria Alfonsa arrivò alla decisione di consacrarsi totalmente a Dio, mediante la professione religiosa che è propria della congregazione delle Ancelle Riparatrici del SS. Cuore di Gesù, fondata da mons. Antonino Celona, anch’egli Servo di Dio, che emise proprio in questa Casa. 

Quali sentimenti ci fossero nell’animo di suor Maria Alfonsa, li possiamo comprendere dalla lettera che ella scrisse (siamo negli anni immediatamente successivi alla sua professione religiosa) a conclusione degli esercizi spirituali. In questa lettera la Serva di Dio si rivolge proprio a Gesù, al Signore Gesù, suo Signore. Anche se conoscerete sicuramente già il testo, desidero riportarne ugualmente e ricordarne a tutti voi qualche breve passo:

<<Mio amato Gesù, amore mio grande, quanto Ti amo! Sei il fuoco che mi brucia e mi divora, che mi fa spasimare, soffrire, agonizzare d’amore. Sposo mio, bellezza mia, quando, quando Ti incontrerò? Quanto dovrà attendere ancora la Tua schiava d’amore per incontrare l’amato del suo cuore? Prendimi tutta per Te, fai quello che vuoi, ma dammi amore! Gesù mio, Te ne prego, rubami il cuore e poi fai quello che vuoi. Fammi santa, Gesù mio, perché T’amo più di me stessa, fino alla follia>>. 

Questa è la fede, la fede che coinvolge tutta la persona nella certezza che Gesù sia il Signore, colui, l’unico, che abbia parole di vita eterna e colui che possa dare risposte a quei desideri così profondi del nostro cuore, che sono il bisogno dell’Amore ed il bisogno della Vita. 

Per scrivere queste parole suor Maria Alfonsa deve aver certamente fatto un cammino di fede: in realtà il percorso spirituale intrapreso dalla Serva di Dio lo possiamo considerare come un cammino di fede abbastanza semplice, non complicato, che però può servire a noi tutti, se ci lasciamo guidare dalla parola di Gesù e ci lasciamo incontrare dal Suo sguardo. 

Cristo ci chiama ad essere Suoi discepoli ed alla Sua amicizia; ci chiama anche alla vita divina, e questa è una chiamata per tutti. Il cammino di fede ha origine da Dio che dona:

<<Nessuno può venire a me – ci ha ricordato Gesù – se non li attira il Padre che mi ha mandato>>. 

La fede, dunque, ha questa origine, ma ha bisogno anche della nostra risposta, che deve essere credere all’Amore. 


Il Crocifisso è la nostra fede, la ragione della nostra fede. Noi crediamo nel Signore non tanto per i miracoli che ha compiuto, ma perché Gesù Cristo è rimasto sulla croce. Ricordiamo quello che Gli dicevano i passanti:

<<E’ il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo>>.

Se Gesù fosse sceso dalla croce, noi, certamente, non ci saremmo trovati qui e non avremmo avuto la prova dell’amore di Dio nei nostri confronti, sfociato fino al dono totale di sé. In questa prova, infatti, il Figlio di Dio, che è Dio, si è fatto per Amore: per questo motivo noi possiamo credere in Lui e certamente la nostra fede non rimarrebbe delusa. La nostra speranza non potrà mai rimanere delusa perché ad amarci fino alla morte di croce è il Cristo, il Figlio di Dio, che si è fatto uomo. 


Dalla contemplazione del Crocifisso trova ragione, e quindi spiegazione, quello straordinario progresso spirituale che porterà suor Maria Alfonsa a vivere la sua lunga malattia come un dono utile ad essere conformata al suo Signore, a Cristo crocifisso. In una lettera al suo padre spirituale scrisse proprio queste parole:

<<Mi propongo, con tutte le forze, di fare tesoro delle sofferenze, affinché siano trasformate in croce luminosa>>. 

Noi siamo chiamati a vivere nella gioia, ma la gioia non significa vita facile: la gioia, quella vera, consiste nel saper donare la propria vita, proprio come il Figlio di Dio l’ha donata a noi. Noi tutti siamo coinvolti in questo gesto d’amore di Cristo e, quindi, se lo siamo realmente e fino in fondo, dobbiamo in qualche modo perpetuarlo, renderlo cioè presente e vivo mediante la nostra totale partecipazione al Suo mistero d’amore fino alla prova della croce; solo così la croce diventerà un modello per vivere la nostra vita nella direzione di Cristo ed un dono che ci condurrà alla gioia. 

Ecco perché suor Alfonsa vedeva la croce come luminosa. In una sua preghiera scrisse:

<<Solo tu, Crocifisso mio, hai riempito la mia vita… Dammi forza nel mio soffrire, consacra ogni mia pena e dolore in offerta di amore per te>>. 

Troviamo tanta sapienza anche in queste parole, la sapienza che certamente le veniva da quella “luce” che è la luce dello Spirito, e la sapienza che è la sapienza cristiana di cui parla l’apostolo Paolo. 

Sappiamo come fosse stata costretta dalla malattia a stare per buona parte della sua vita su di una sedia a rotelle ed anche come trascorresse molte ore della sua giornata in adorazione dinanzi a Gesù Sacramentato. Credo che proprio dalla frequentazione assidua con Gesù Eucaristia fosse maturato in lei il proposito di offrirsi come sacerdotessa per vivere in maniera autentica la sua vocazione di ancella riparatrice. La testimonianza di una sua consorella, la Madre Generale, recita così:

<<Accettò serenamente le sue sofferenze a vantaggio della Chiesa, del suo Istituto e dell’umanità>>. 

Infine, sicuramente tutti voi conoscerete quella sua professione di fede, chiamata “Credo del dolore”. Mi sono piaciute molto queste due espressioni:

<<Credo al dolore, profumato dall’incenso della preghiera, che apre i cieli e consola il Cuore di Dio. Credo al dolore, offerto con quello di Cristo…>>. 

Ritengo che possiamo accogliere pienamente il messaggio trasmesso da queste frasi: credere al dolore profumato dalla preghiera, unendolo ed offrendolo a quello di Cristo. Ed è proprio in questo senso che la testimonianza di suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino è molto attuale nel nostro tempo e nella nostra Chiesa, che vive ed opera a Messina, nella nostra Sicilia, nella nostra Europa ed anche nel mondo intero. 


Perché dico tutto questo?

Saprete certamente che il Papa di recente ha scritto l’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” alla luce di quanto emerso nell’ultima Assemblea sinodale ad essa dedicata. Il Santo Padre ha intitolato un capitolo di questo documento: “Celebrare il Vangelo della speranza”, affidandone il compito alla Chiesa del nuovo millennio. 

Celebrare pienamente il Vangelo della speranza è proprio di chi, come suor Maria Alfonsa, ha capito che Cristo è la speranza dell’uomo, la nostra unica speranza; più ci uniremo a Lui, più vivremo con Lui e come Lui, e più riusciremo a salire su quella croce, la croce di Cristo, ma soltanto se saremo capaci di dare testimonianza di questo Vangelo di Gesù, e cioè che Egli è venuto a salvare gli uomini donando se stesso. 

Più sapremo portare la nostra croce quotidiana, quella che il Signore ci mette sulle spalle, quella cioè che con serenità Gli chiediamo tutte le volte che Gli diciamo:

<<Sia fatta la tua volontà!>>

(e non quella che ci andiamo a cercare noi da soli), e più quella croce diventerà per noi croce di redenzione, annunzio del Vangelo della speranza, annunzio di Cristo, speranza dell’uomo, che ci chiama alla Sua sequela, affinché possiamo vivere con Lui, nel dono totale ai fratelli. 

In questo mi pare suor Alfonsa sia per noi una testimonianza viva che c’è stata donata dal Signore proprio perché il nostro cammino di vita cristiana e la nostra testimonianza evangelica, illuminati dal suo esempio, possano essere veri e, nello stesso tempo, anche testimonianze per i nostri fratelli. 

Messina, 23 Agosto 2003

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