Omelia VI Anniversario - 23 Agosto 2000 - Suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino Ancella Riparatrice

Omelia VI Anniversario – 23 Agosto 2000

Monsignor Francesco Montenegro vescovo ausiliare di Messina
OMELIA a cura di MONSIGNOR FRANCESCO MONTENEGRO

“Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia; egli è come albero che cresce vicino ad un fiume; stende le radice, fino all’acqua” (Ger 17,7-8).

Benediciamo il Signore e i Suoi molteplici doni, ma soprattutto per quelle persone straordinarie che Egli mette lungo il nostro cammino. Esse sono segni di speranza, luci che confortano, presenze necessarie, inviti a cogliere il positivo della vita, traduzione letterale e concreta delle parole di Paolo “siamo il profumo di Cristo” (2 Cor 2,15).

Suor Maria Alfonsa, piccola (come un fiorellino del campo mi ha cullato con il vento, mi ha baciato con il sole) e grande maestra di vita (vorrei gridare, predicare a tutti l’amore di Dio), silenziosa e umile operaia della vigna (mi vedo spoglia, nuda, indegna della meravigliosa vocazione), è l’albero piantato lungo il fiume, proteso verso l’alto e da ogni lato, perché chi si avvicina possa ricrearsi approfittando della sua ombra e ristorarsi durante il faticoso cammino della vita (Vorrei accendere il fuoco in tutto il mondo, espandere la gioia dell’amore di Dio).

“Piove – dove mi riparo? – ecco: un gruppo di querce sotto la violenza degli elementi si sono chinate, unite, una specie di tetto. Senza la violenza del vento queste querce sarebbero cresciute dritte, la pioggia vi sarebbe passata ed il viaggiatore non vi avrebbe trovato riparo. Vi sono anime ospitali, confortevoli dove è sempre una parola buona, un asilo sicuro, il destino meno oscuro, l’uomo meno cattivo, Dio più vicino. Penetrare nel segreto di queste anime, vi troverete tracce di lotte, cicatrici, mutilazioni. E’ perché sono curve che ci proteggono. La tormenta, il dolore ne ha fatto rifugio” (Mazzolari).

“Chi ama, sarà amato dal Padre mio e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,21,23).

Sono le parole che il Signore mette nel nostro cuore a risposta del nostro grazie per suor Alfonsa. Parole che ci confortano e ci fanno comprendere dove sta la grandezza di una persona che ha saputo fare della sua vita un dono, sino a pagare il caro prezzo della sofferenza (33 anni). La sua forza è stata l’amore. Donna innamorata che per amore ha dato tutto, ha potuto tutto, anche sopportare il dolore. Nella sua sofferenza l’amore è sgorgato copioso, inarrestabile. Purificato da tutte le scorie dell’egoismo e dell’individualismo umano, ha raggiunto la sua essenza. Per lei è stata forza assoluta che non ha visto ostacoli e si è alimentato della gioia stessa di espandersi e di nutrire tutto ciò che ha incontrato. Simile amore – segno distintivo della sua vita, almeno per me – non poteva che donarsi, non poteva che illuminarsi e dare luce, farsi fuoco vivo per gli animi impauriti, tesoro inesauribile di forza per chi si sentiva stanco ed incapace. 

Benedetta Bianchi Porro diceva che la carità “è abitare negli altri”. Suor Alfonsa mi piace pensarla luogo d’incontro tra Dio e gli uomini. Il Signore è stato bene in quella casa visto che sono arrivati (Lui ed Alfonsa) ad una condivisione totale (Vi ho chiamati amici, perché vi ho messi a parte di tutto ciò che ho appreso dal Padre mio) (Gv 15,15).  Ci sono stati bene gli altri che hanno trovato posto – grande amicizia – nel cuore di Suor Alfonsa. 

Anche lei ha cercato di abitare quanti l’avvicinavano per poterli condurre per mano a scoprire l’amore grande di Dio (Vorrei gridare a tutto il mondo “Magnificate”. Lodate con me il Signore). Chi l’ha conosciuta, credo che, in qualche modo, si sia riconciliato con la Croce. Solo in Gesù un uomo Dio che muore urlando, maledetto, su una croce, il male si può trasformare da scandalo in mistero, sia pure insondabile. Gesù non distrugge la croce: vi si sdraia sopra e risorgendo diventa “speranza della nostra gloria” (Col 1,27). La sua croce è il nuovo nome del dolore, il segno della risposta d’amore di Dio alla sofferenza umana. Suor Alfonsa , con la sua sorridente testimonianza, ci ha permesso di vedere l’aspetto più conosciuto e nello stesso tempo più difficile dell’albero della vita, sul quale è doloroso stendersi, ma presso il quale il segreto dell’amore , della vita, dell’eternità vengono svelati (Constato che la mia croce è la più difficile ma resta la mia via regale).

Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno (2 Cor 4,16). La lunga malattia si è accompagnata ad una maturità e grandezza spirituale. Direbbe Mazzolari: “la sofferenza, questa grande, tremenda cosa, è la nostra sola ricchezza”. 

Mi tornano in mente le parole “importante non è soffrire, è aver sofferto” (Leon Bloy). Soffrire vuol dire sentirsi schiacciati dal peso del dolore; aver sofferto vuol dire essere andati al di là del dolore, averlo guardato in faccia, avergli dato un significato, sentirsi più ricchi di dentro. Fanno senso le parole di suor Alfonsa, che riesce a superare l’urlo della carne offesa dalla malattia con l’urlo dell’amore: “Non ho paura, dei miei dolori. Ho solo una paura: perdere la sofferenza. La sofferenza è il mio tesoro”.

Ciò è possibile, appunto, perché è stato grande il suo amore per il Signore. Il rapporto sponsale col Signore Gesù ha fatto grande questa donna. Ne è stata sposa fedele ed innamorata. La sua grande fede l’ha sostenuta lungo il cammino del calvario: per lei la fede è stata sostegno e medicina. Fede poggiata su una grande speranza, su un completo abbandono, su un’attesa fiduciosa e gioiosa di un incontro già per lei avvenuto e pregustato in questa vita (Per me basta solo Dio ed io sono in Lui). Tutto è stato così pieno di un amore giovane, fresco e grande (Come farò senza di Lui… Io lo amo) da affrontare le prove della malattia con serenità, fino a far diventare la sua vita martoriata un gioioso canto d’amore a Dio. La sua preoccupazione è stata piacere al Signore e il suo desiderio è stato che Egli riempisse tutta la sua vita e la sua anima. Docile alla volontà del Signore si è consegnata a Lui. E consegnarsi è il verbo più appropriato dell’amore. Amore fresco, anche se duramente provato, di giovane sposa che ama davvero “Una voce! Il mio diletto! Eccolo viene… Mettimi come sigillo sul tuo cuore… Forte come la morte è l’amore” (Ct 2,8; 8,6). Come suonano bene le parole di mons. Bello: “Amare, voce del verbo soffrire”. 

In questo dialogo, dove viene scambiato il ruolo di cirenei tra lei, ancella riparatrice, e il suo amato Gesù, scopriamo come per lei “Gesù non è venuto a spiegare la sofferenza, ma a riempirla della sua presenza”. Tale certezza che accompagna la vita di Suor Alfonsa, rende vere le parole del Papa quando afferma che la sofferenza è “una vocazione ad amare” (Giovanni Paolo II), come e insieme a Gesù.

E’ una lezione che dobbiamo cogliere e fare nostra, è una convinzione che deve riempire la nostra vita perché possiamo guardare dentro di noi e fuori di noi in modo diverso quando ci si trova schierati sul difficile versante della sofferenza. Persone come suor Alfonsa sono la prova che la sofferenza non è inutile, non isola, non fa delle persone un peso ingombrante e fastidioso, se è vero che di lui tutti abbiamo bisogno e gli dobbiamo dire grazie, riconoscendo e venerando il suo dono, il suo mistero e il suo servizio. Dico questo perché la società nella quale viviamo privilegia chi produce ed è attivo, emargina sempre di più chi non risponde ai canoni dell’efficienza. E penso di non creare scandalo se dico che anche nella Chiesa, chi paga con la moneta della sofferenza non è considerato debitamente né è sempre trattato col rispetto e l’attenzione che si deve ad un povero Cristo crocifisso. La sofferenza è una vocazione che va compresa e che vuole una risposta. Dall’altra parte essa prima o poi bussa alla porta di ciascuno di noi. 

…E’ la vocazione più concreta e più sicura, dove non c’è nulla di nostro se non la fede e l’obbedienza d’amore. Diceva una malata ad un sacerdote: “Lei può avere anche sbagliato a leggere la sua vocazione: io no… Sicurissimamente questa è la mia vocazione”.

“Il dolore non è meno meraviglioso della gioia” (K. Gibran), giacché è con esso che il guscio del nostro cuore si spezza e lo stupore della vita ci pervade aprendoci ad ogni possibilità. Con un cuore nuovo può avvenire qualcosa di grande tra noi e Dio. 

Il Papa ha detto ai malati: “Siete chiamati ad amare di più!”. “Contiamo su di voi per insegnare al mondo intero che cosa è l’amore”. Cosa che suor Alfonsa ha vissuto col suo abito religioso e stando inchiodata su quel trono scomodo che è stata la sua carrozzina e il suo letto. 

Concludo invitando tutti noi a metterci alla scuola di questa grande donna. Da quella cattedra difficile, la sedia a rotelle, dalla quale ha parlato, velando col sorriso, la sua sofferenza, cogliamone i molteplici insegnamenti. Anche lei assieme a Paolo può dirci: “Lodiamo Dio… che ci sta vicino… perché noi possiamo consolare quelli che soffrono, con quella stessa consolazione con la quale siamo stati confortati da Dio… Se siamo tribolati, è per vostra consolazione, perché serve alla vostra salvezza; se invece siamo consolati, anche questo è per vostra consolazione, perché possiate sopportare con pazienza le stesse difficoltà” (2 Cor 1,3-4,6).

E’ il suo regalo a tutti noi. 

Guardiamo con occhio diverso la Croce. E’ il libro che dobbiamo imparare a leggere perché racconta l’amore di Dio per noi, fino al dono del Figlio. Dietro quella vicenda di dolore e di morte, scritta sulla croce, sta l’amore fedele e misericordioso di Dio, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 

Sappiamo che dall’amore e dal dolore nasce la vita. Nella vita non manca mai il dolore. Se in esso ci mettiamo l’amore, la nostra vita diventa feconda. E’ la ricetta che suor Alfonsa ci presenta garantendone la bontà.

Isaac Singer scriveva: “Credo che in qualche punto dell’universo debba esserci un archivio in cui sono conservate tutte le sofferenze e gli atti di sacrificio dell’uomo. Non esisterebbe giustizia divina se la storia di un misero non formasse in eterno l’infinita biblioteca di Dio”. Guardiamo sempre in alto, troveremo questo archivio. E’ necessario scoprirlo per imparare a vivere.

Maria afferma: “Fate tutto quello che mio Figlio vi dice” e quello che Gesù ci dice è: “Amatevi: fate del bene con la sofferenza, fate del bene a chi soffre”.

Rimaniamo aperti all’amore, alla comunione ed alla speranza.

Messina, 23 Agosto 2000

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